A cosa serve la psicoterapia? Non avrei creduto di trovare la risposta a questa domanda in due minuti di un film sul basket tratto da un manga degli anni novanta: “The first slam dunk”.
E’ la storia di Ryota Miyagi. Orfano di padre, cresce seguendo le orme del fratello maggiore, asso di una squadra di basket. Anche il fratello però scompare e Ryota resta solo con la madre e la sorellina.
La madre non riesce a superare la morte del primogenito. E’ fredda con Ryota, come se non potesse stargli vicino. Ryota ne soffre molto e per questo sembra non interessato alla sua vita e combina guai in continuazione. E più guai combina e più la madre si arrabbia con lui.
Ryota è ormai al secondo anno di liceo e la sua squadra di basket è riuscita a qualificarsi per le finali nazionali.
E’ la sera prima di partire, Ryota vorrebbe parlare con la madre ma la trova a guardare un video del fratello che gioca una partita, così decide di tornare in camera e scriverle una lettera.
Inizia a scrivere “scusa se sono io quello vivo” poi guarda il foglio, lo accartoccia e lo butta.
Non avrebbe forse avuto tutte le ragioni del mondo per arrabbiarsi con quella madre che aveva continuato ad insegure il fantasma del figlio scomparso piuttosto che pensare a dargli affetto?
Eppure la lettera, che la madre trova sul tavolo la mattina seguente, è molto diversa.
In sintesi Ryota le scrive “cara madre, grazie per avermi fatto continuare a giocare a basket, anche se a te faceva male vedermi giocare come Sota (il fratello scomparso). Il basket è l’unica cosa che mi fa sentire vivo e per questo ti ringrazio di non avermi mai detto di smettere”. Anche questo è vero, Ryota non sta inventando, sta solo guardando un altro aspetto della stessa realtà, quell’aspetto che scioglie la rabbia e permette di costruire il proprio cammino con la pace dentro.
Questo è ciò a cui dovrebbe tendere tutta la psicoterapia, al di là di teorie, modelli e tecniche: fare pace. Fare pace dentro e, se possibile, anche fuori.
Ryota poteva scrivere la sua rabbia ma quella rabbia avrebbe continuato a divorarlo, bloccandolo, come la madre, in un eterno presente.