1. Etica personale
Ci sono molti aspetti di Meta (che comprende Facebook, Messenger, Instagram, Whatsapp e Oculus) che non mi fanno stare bene ad esserci dentro come Tommaso Sardi.
L’esempio che riporto é quello da cui la mia volontà si é trasformata in decisione. É stato a seguito dell’invasione da parte della Russia dei territori dell’Ucraina, quando Zuckerberg dette il permesso di scrivere messaggi di odio contro Putin e i militari sovietici. Non é importante che poi sia stato fatto tornare sui propri passi, l’importante é il gesto e la rivelazione che odio e conflitto sono i veri motori dei social. Potrei fare esempi di altro genere (dal Cambridge Analytica alle accuse di Amnesty International per aver permesso di fomentare l’odio contro la minoranza Rohingya nel Myanmar) ma non voglio dilungarmi ulteriormente.
La mia decisione é quella che l’etica a cui voglio fare riferimento nei contesti virtuali non può essere differente da quella a cui cerco di attenermi nei contesti fisici.
Mi potrebbe essere detto che se non mi piace la politica di Meta potrei usare ad esempio Telegram. Sappiamo benissimo che non importa cosa si sceglie, tutte queste realtà sono piene di bot, di fake news e di meccanismi che non fanno progredire il senso di socialità e responsabilità (ad esempio i messaggi che si autodistruggono, modello ispettore Gadget, o l’idea di poter scrivere a chiunque anche dopo le nove/dieci la sera o addirittura di notte).
Quando parlo di questa mia volontà mi viene spesso detto “non é che hai torto però whatsapp é talmente comodo”.
Questo é il punto: ci sono cose, anzi no, non cose, ci sono persone per cui sono certo che baratterei la mia etica ma non accetto di farlo semplicemente in nome della comodità!
2. Etica professionale.
Se qualcuno mi offrisse, in modo gratuito, un bel locale perfettamente arredato e la promessa di sponsorizzare il mio studio per avere sempre più visibilità, e poi scoprissi che ha messo telecamere dappertutto e usa ogni lettera che viene pronunciata per aumentare i propri introiti, resterei a lavorare in quel luogo? No. Se non lo farei nel mondo fisico, non voglio farlo nemmeno in quello virtuale.
Oltre a questo sono fermamente convinto che noi professionisti della salute dovremmo avere una nostra piattaforma (la piattaforma dovrebbe essere del Ministero della Salute), in cui si accede con nostre credenziali e in cui i dati sono solo in nostro possesso nello stesso modo in cui lo sono all’interno dei nostri studi.
Una piattaforma che dia anche la possibilità per ogni professionista di fare sedute online in modo sicuro e non usando servizi di terzi da noi non controllabili.
Credo sia molto grave utilizzare whatsapp, Messenger, Telegram ect. per inviare documenti, informazioni, relazioni, contatti e quanto altro di sensibile.
Da qui in avanti utilizzerò la PEC per i documenti sensibili e la mail del sito per il resto degli scambi.
Tutto questo sempre nell’idea di riportare nel virtuale l’etica deontologica del fisico.
3. L’amico che mi dice “sei coraggioso” quando gli racconto di questa mia idea.
Ecco, credo che quest’ultimo punto che può in apparenza sembrare il più banale sia invece quello che in misura maggiore toglie il velo di Maya, come direbbe Schopenhauer.
Coraggioso é un termine enorme che non dovrebbe essere correlato ad una scelta simile ed invece in molti sarebbero d’accordo nel farlo. Allora significa che ci siamo spinti troppo oltre, che ci siamo fatti assorbire da questi strumenti in modo eccessivo e, in fondo, che non siamo più noi a scegliere, che non siamo più liberi.
La parola coraggioso si collega ad una frase detta da un paziente “ho fatto un po’ di pulizia nel telefono ovviamente ho lasciato whatsapp che é un servizio essenziale”. Analizziamo questi due termini:
Servizio: Whatsapp e simili non sono servizi. Un servizio presuppone il non arricchimento monetario da parte di nessun soggetto coinvolto (certamente ci sono servizi che si pagano, pensiamo ai servizi pubblici che paghiamo con le tasse ad esempio, ma qui siamo in un contesto di gratuità).
Essenziale: credo che whatsapp (uso questa app come esempio perché da noi é quella più diffusa) sia reputato essenziale, e quindi coraggioso toglierlo, perché ci dà l’idea di poter essere utile per tutto quello di cui abbiamo bisogno: parlare con un amico, inviare immagini e video, spedire una relazione, promuovere un’attività, interfacciarmi con colleghi o capi, e così via.
Mettere tutto dentro lo stesso contenitore significa a mio avviso non differenziare e quindi non dare il giusto significato alle azioni, mentre sappiamo bene che il contesto é un fattore essenziale per dare significato.
Se voglio avere uno smartphone le uniche cosa davvero essenziali sono un contratto telefonico e una mail. Il resto sono aggiunte.
Conclusione:
Non so a cosa porterà questa scelta. D’altronde scegliere non significa ottenere, significa perdere.
Nel momento in cui scelgo di non usare WhatsApp o Telegram so che perdo la possibilità di essere nei vari gruppi, compresi quelli dei miei figli. Mi perderò le foto che vengono inviate mentre Andrea gioca a calcio o Alice si esercita sulla trave.
Perderò forse anche dei pazienti perché qualcuno potrebbe pensare che sono retrogrado o, ancora peggio, che voglio mettere distanza, proprio io che lavoro senza scrivania tra me e le persone con cui parlo, o che sono andato a casa di persone in isolamento da covid-19.
La speranza dell’abbandonare i modi comodi per relazionarsi con gli altri é quella di trovare la costanza per crearne di più profondi.
La costanza di chiedere ai miei figli di raccontare, cercando di farmi realizzare cosa hanno vissuto e accettando che non saprò mai tutto (ma non vivendo nell’illusione di sapere tutto perchè vedo dei video); la costanza di chiamare gli amici al telefono o organizzarmi per avere più momenti da dedicarci a vicenda; la costanza di dimostrare ai pazienti che si rivolgeranno a me che la vicinanza é data dal senso di cura che riuscirò a trasmettere loro e non dal poter inviare/ricevere un vocale con whatsapp.
Una cosa é certa, e questo vale per tutti: le app di messaggistica non fanno risolvere conflitti, non fanno comprendere tra loro le persone, non migliorano di un centimetro il reale benessere di nessuno (ad eccezione di chi vive fisicamente molto lontano). Però sono comode…
Ma è una comodità tossica. Ne scriverò a parte di questo.
Concludo con una riflessione per chi fosse arrivato a leggere fino a qui e soprattutto per chi é un po’ vecchietto come me.
Avremmo mai pensato a 14 anni che un giorno saremmo stati così dipendenti da un oggetto (lo smartphone) tanto da usarlo senza più riflessione, estraendolo dalla tasca al minimo input-innesco? Un oggetto con cui siamo fusi e i cui meccanismi interni (tra cui le app di messaggistica, unite spesso alla fotocamera perchè i momenti, invece che vissuti, vanno ripresi per mandarli ad altri o per riempire un cloud) fanno aumentare sempre più questa fusione?
Ma come sostiene Umberta Telfener parlando di coppie, nessun rapporto di fusione é un rapporto sano che fa star bene. Al massimo può illudere di far stare bene.
Tommaso Sardi
01.10.2022