Annunciato il nuovo recovery Plan: più fondi per gli asili nidi.
L’obiettivo dichiarato é quello di aumentare i servizi perché solo così si può dare ad una donna la possibilità di tornare a lavoro.
Questo accade perché quando si ragiona di parità di genere, viene sempre sottolineato come la cura dei neonati ricada sempre sul genere femminile.
La cura dei bambini viene così vista come un peso che uno dei membri della coppia deve assumersi e, essendo la nostra una società maschilista, la scelta cade sulla donna.
Allora si incentivano i servizi educativi a partire dalla piccolissima età, così la neomamma può tornare ad essere una donna produttiva al pari della sua controparte maschile e finalmente realizzata.
Si potrebbe ammettere che non sia la strada giusta?
Sono convinto, del resto, che non fosse giusta nemmeno la strada della donna a casa a guardare i figli e del marito a lavoro, perché, una volta che i figli diventavano grandi ed autonomi, la vita della donna finiva per essere terribilmente vuota. Allora se ne potrebbe trovare una terza?
Partiamo da un presupposto.
Quando si elaborano queste strategie si fanno in nome della tutela del soggetto debole che viene identificato nella donna ma sta proprio qui, a mio avviso, l’errore: il soggetto debole é il neonato!
Di cosa ha bisogno un bambino quando arriva al mondo?
Della mamma.
Certo, io sono assolutamente convinto che la genitorialità sia un compito condiviso, che non é importante chi fa cosa ma l’importante é che le funzioni genitoriali siano soddisfatte.
Ma sono anche psicoterapeuta, conosco le ricerche della Mahler, della Klein, di Winnicott e da tutto questo so che niente e nessuno può sostituire appieno il valore della madre nella relazione con il nascituro, quando la madre c’è ed esiste.
Faccio questa puntualizzazione (quando la madre c’è ed esiste) perché purtroppo ci sono bambini abbandonati o bambini che nascono e di lì a poco la loro mamma muore. Per questi bimbi il discorso é diverso perché le funzioni materne vengono raccolte da altri e possono da altri essere raccolte. Consapevoli però che con l’assenza della madre ad un certo punto della storia comunque si dovrà scendere a patti.
Come scrivevo sopra, la genitorialità é un affare di coppia e, se la madre é la figura più importante per il bambino, il padre é colui che per primo deve fare sentire alla donna quanto importante sia il suo compito e agevolarle quei passaggi che la porteranno a lasciare andare il figlio via via che cresce e a riprendersi i propri spazi personali senza sentirsi in colpa (direi dai sei mesi dello svezzamento in modo graduale). Il senso di colpa invece é spesso molto grande per quelle donne costrette dopo tre mesi dal parto a tornare a lavoro. E anche il senso di perdita, quando tornano a casa e vedono il bimbo sereno in altre braccia invece che nelle loro. E magari finiscono per attenuare i propri vissuti allattando fino al terzo anno, trincerandosi dietro le raccomandazioni dell’OMS.
Tutto questo inevitabilmente si riversa in modo negativo sul bambino e molto spesso sulla coppia.
Quindi forse se mettessimo al centro il bambino appena nato, non dovremmo tanto pensare ad ampliare il servizio dei nidi ma piuttosto porsi due domande:
1. Come possiamo allungare il periodo di maternità retribuita al 100%?
2. Come possiamo allungare le maternità ma non pesare sui datori di lavoro?
Non ho una risposta definitiva, non conosco le regole del mercato del lavoro così bene da poterla avere, ma ho un’idea che forse potrebbe iniziare a tracciare una linea di pensiero.
Noi sappiamo che gli ospedali coprono i posti mancanti ricorrendo a personale interinale. Questo significa che c’è un bacino di infermieri, ostetriche e così via che si segna ad agenzie ed aspetta una chiamata, non potendo ambire ad un posto fisso.
Sappiamo anche che non si realizzerà mai una società in cui tutti hanno un posto fisso, anzi andiamo esattamente nel verso opposto.
Allora mi dico: perché non puntare su questo? Perché se tanto io Stato devo dare degli assegni di disoccupazione non creo dei bacini di personale di ogni settore da cui attingere per sostituire le maternità? Quindi non ti do un assegno di disoccupazione ma ti do uno stipendio, che credo sia anche molto più gratificante per chi lo riceve.
Se oltre a tutelare la donna che diventa madre non tuteliamo i datori di lavoro, non riusciremo mai a smontare l’idea che pervade la società della donna che mette al mondo figli appena ha un posto fisso e non si rivede in ufficio per anni, soprattutto nel pubblico impiego.
E non sarebbe affatto male utilizzare lo stesso meccanismo anche per concedere ai padri un part time per il primo anno di vita del bambino: questo sì che rimetterebbe al centro il bambino, la coppia e la famiglia.
Eppure tutto questo é inutile se prima non rispondiamo ad una terza domanda che in realtà é quella da cui tutto dovrebbe prendere avvio: come facciamo a rendere il diventare ed essere madre un obiettivo centrale per la società? In tutta onestà, questa è una domanda che mi pongo ma a cui non trovo ad oggi, con le mie sole forze, una risposta convincente.
Infine, per concludere, torniamo a una delle riflessioni iniziali.
Nel passato c’era una divisione stereotipata e soprattutto rigida di divisione dei compiti tra uomo e donna con l’uomo che pensava al lavoro e la donna alla casa. Se adesso la società spinge nella direzione in cui il lavoro diventi non semplicemente prerogativa ma piuttosto l’obiettivo primario da raggiungere sia dell’uomo che della donna (di pari passo al divertimento come ho scritto altrove), non é forse che stiamo maschilizzando ancora di più? Cioè, non é che stiamo costringendo le donne, per sentirsi libere e realizzate, a fare propri i modi di agire, pensare, intendere la vita, che erano propri dell’uomo? Queste domande vanno affrontate a parte, dico solo che della donna invidio la dolcezza, il suo innato (non stereotipato!) senso di accudimento, di rassicurazione che le nasce dall’essere dalla natura stessa predisposta ad accogliere e fare crescere una vita dentro di sé. Invece il nostro mondo fa invidiare alla donna il mondo dell’uomo.
Il mondo occidentale è un mondo che non stimola ad avere figli e chi vuole averne si trova a dover rimandare per anni prima di aver terminato gli studi ed avere una stabilità economica tale da potersi sentire pronti per questo passo.
Prima di chiederci come incrementare i servizi per l’infanzia, dovremo chiederci come incrementare le nascite, altrimenti ci ritroveremo con tanti asili ma tutti vuoti.
É dal riorganizzare il mondo del lavoro, dal rendere centralità al ruolo di madre e dal definire che avere figli è produttivo per la società ed è fonte di autorealizzazione della persona (certo non l’unica ma per favore non mettiamola al pari del corso di yoga!) che si può far tornare alle persone la voglia di fare figli e di farlo ad un’età idonea per poterne sopportare la fatica. La fatica di allattare più volte a notte, di cambiare pannolini a ripetizione, di cullare per ore per consolare l’inconsolabile pianto delle coliche… vanno cambiate le premesse prima di strutturare gli interventi. Partiamo dai bambini invece che dagli adulti…
Tommaso Sardi
30-04-2021